SPURGON IL FALLITO
Sono Spurgon e ho sempre fallito. Spesso a causa dei miei sbagli qualcuno ci ha rimesso la vita, ma continuerò a farne e nessuno mi punirà. E’ così che funziona il mio paese. Quando mi paludo nel mio mantello marrone, poi, sono un disastro. Le mie donne, macilente malate terminali, si fidano ciecamente di me. Guardano i miei occhi acquosi e sfuggenti e nel loro sguardo colgo disperazione, paura e il desiderio di farla finita. La mia mascella irregolare, il mio naso rotto da un marito geloso e le mie mani da operaio piene di cerotti e cicatrici danno sgomento, le mie dita sono dita da operaio di una fabbrica il cui padrone risparmia sulle misure di sicurezza. Quando scendo in pista spesso inciampo, appoggiando la mano su un chiodo sporgente e un piede sul mantello, che si strappa. Nove lame di materiali di scarto compongono il gospel intorno alla precarietà di una ragazza che ormai non ha più nulla da perdere.
Sono Spurgon il gettatore di coltellacci. Avevo sei anni quando mio padre Spiribomb il Putativo scappò con la cassa del circo, quarant’anni fa. Quante maledizioni gli avrò lanciato dietro, da allora? Quante ragazze fiduciose mi avranno dato la vita, sotto lo sguardo perverso dell’elegante pubblico in giacca e cravatta? Sarebbero state molte di più, se non ci fosse Surgeon il Paramedico.
Io sono Spurgon, l’uomo più solo del mondo. Da quarantanni che non ne azzecco una. Con la benda marrone coi buchi (inutili) per gli occhi, soppeso la lama del coltello tagliandomi i polpastrelli, e sento il fiato sospeso e la speranza di Tonkita, la Donna delle Pulizie. E dopo, solo dopo aver tirato, mi figuro nel cuore il sollievo che proverei se per una volta, una volta sola, il mio coltello centrasse tra gli occhi Scroogeon, l’Usuraio. Gli devo trecento cucuzze.
Cristian Piovano