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Monologo della ragazza con l’ombrellino che danza sopra il filo

È il circo e non ci puoi fare niente. Gli uomini volanti sul trapezio, il mago con la sua magica bacchetta, il lanciatore di coltelli, il domatore di leoni e anche io che con un ombrellino colorato nella mano e un vestitino stretto danzo sopra il filo sospeso lassù, noi che ci chiamiamo artisti non siamo importanti. Neppure il direttore con la giacca rossa ed i bottoni dorati, neppure il direttore con le spalline come un generale e il cilindro che viene da Londra, nemmeno lui che parla più forte di tutti e tiene i soldi perché il circo si chiama col suo nome, ecco, neanche lui è importante. C’era un pagliaccio, Birillo si chiamava, che mi diceva, quando ero piccola, che la cosa più importante è il pubblico, ma si sbagliava, perché una sera il valico era pieno di neve e c’era tempesta così ci siamo fermati in un paesino in montagna, e abbiamo tirato su il tendone e allestito uno spettacolo in questo paese piccolissimo e c’erano tre spettatori, eppure lo abbiamo fatto lo stesso, anche se gelava il cuore a vedere tutti i posti vuoti, e anche se quando applaudivano veniva voglia di piangere. Però abbiamo fatto tutti del nostro meglio, come diceva Taras il mangiatore di fuoco, che era alto e bruno e aveva un sacco di peli sul petto e anche sulla schiena, perché quello che importa è lo spettacolo, diceva, noi e il pubblico non contiamo, ma lo spettacolo deve andare avanti. Però poi ci ho pensato su e adesso credo che non sia lo spettacolo la cosa più importante: lo sanno tutti quanti che le lame del mangiatore di spade sono finte, e che la ragazza nella cassa non viene segata in due, e gli scherzi dei pagliacci sono stupidi e vecchi come montagne, e la tigre è così vecchia che bisogna farle a pezzetti la carne prima di dargliela da mangiare perché le fanno male tutti i denti che sono rimasti. Lo sappiamo noi del circo e anche la gente che viene la sera lo sa, quindi non credo che la cosa importante sia lo spettacolo. Un vecchio trapezista che sapeva un mucchio di cose perché aveva viaggiato in tutto il mondo una volta mi ha detto che la gente viene al circo perché fuori c’è la notte, e c’è tanto buio e silenzio e freddo, e invece dentro ci sono le trombette e i tamburi e si sta tutti stretti e ci si scalda a vicenda, però io non penso che sia proprio così. Io penso che il segreto del circo lo aveva capito solo Bagonghi.

Bagonghi era un nano, poverino, con la gobba dietro e anche davanti, ed un testone enorme, e due gambe così piccole e storte che se appena camminava su e giù per la pista la gente già si metteva a ridere solo a guardarlo. Gli avevano fatto un vestitino elegante come quello del mago, però della sua misura, e a vederlo così ben vestito nessuno poteva trattenersi dal ridere. Ridevano perfino quelli che lavoravano con lui tutti i giorni, era più forte di loro. Ma se anche uno non rideva a guardarlo, appena si metteva a parlare diventava impossibile trattenersi. Parlava strano Bagonghi, diceva parole molto difficili che aveva visto sui libri perché sapeva leggere, e anche le parole normali le usava in modo da farle sembrare strane, e tutto quello che diceva era buffo, e poi lui era così serio quando diceva tutte quelle sciocchezze, faceva una tale faccia da uno che sta pensando chissà cosa che non c’era nessuno che non ridesse a crepapelle. E continuava, serio serio, a dire baggianate che aveva sentito chissà dove, forse le aveva lette nei libri pure quelle. Così tutti, proprio tutti, ridevano di lui, e non sapevano che invece quello che rideva più di tutti gli altri messi insieme era lui, lo storpio Bagonghi.

Rideva perché aveva un segreto che non conosceva nessuno in tutto il mondo, solo lui e basta. Ogni volta che apriva bocca, Bagonghi diceva delle cose che non erano davvero importanti: bisognava stare a sentire solo la prima lettera di ogni parola che diceva per capirne il senso. Se il cuoco gli chiedeva come era la minestra, per dire, lui rispondeva: “Fanne ancora, sublime cuoco, hai imbandito festino ottimo” e tutti credevano che si trattasse di un complimento invece lui voleva dire fa schifo: “Fanne Ancora Sublime Cuoco: Hai Imbandito Festino Ottimo”, cioè quello che voleva dire davvero lo nascondeva nelle prime lettere di ogni parola, F, A, S, C, H, I, F, O, fa schifo, e le altre servivano solo per confondere gli altri e non farlo mai scoprire. Perché nessuno avrebbe potuto sopportare di farsi prendere in giro da un nanerottolo storto e rachitico.

Se a tavola alzava il bicchiere dicendo “Brindiamo a Bagonghi, bello e intelligente”, tutti ridevano pensando che il nano fosse spiritoso, ma lui in realtà li prendeva per babbei. E quando aveva spiegato al direttore il nuovo numero che aveva intenzione di preparare, dicendo “Io modestamente Bagonghi eseguirò con inimitabile levità, leggiadria, eleganza, le antiche danze rituali ottomane” mentre in maniera buffissima volteggiava di qua e di là, né il direttore del circo né nessun altro aveva capito quello che aveva detto davvero: imbecille ladro. E così, ogni volta che parlava Bagonghi sfogava tutta la rabbia che doveva proprio stare stretta dentro quel corpo tanto piccolo, e se la rideva di tutti perché si divertiva ad insultare in faccia tutti mentre loro neanche se ne potevano accorgere.

Questo fatto di parlare una lingua segreta, che nessuno al mondo poteva capire, era una bella soddisfazione per Bagonghi, però era anche una faccenda triste, perché uno che non ha nessuno che lo ascolta è ancora più solo di uno che non ha nessuno che gli vuole bene. Ma ormai Bagonghi ci era abituato da tanto tempo, e per la maggior parte del tempo non si accorgeva nemmeno di essere infelice. Finché, un giorno, non successe una cosa che glielo fece ricordare.

Un giorno dico di qualche anno fa, mentre tutta la gente del circo stava smontando la roba per partire e andarsene in un altro paese, non arriva un tipo che teneva per mano una bambina a chiedere un lavoro? Era un signore alto e magro, veramente conciato male, si capiva che erano giorni che non mangiava, però si vedeva che era un bell’uomo. La sua bambina era alta così, che vi posso dire, era veramente graziosa, e anche se le parole bisognava tirargliele con le pinze, era sveglia come tutte le bambine cresciute in un circo. Infatti l’uomo era un acrobata che aveva lasciato il circo dove lavorava prima perché aveva litigato brutto con il padrone, e adesso cercava un altro posto dove tirare a campare. Diceva che non era lì per chiedere l’elemosina, che sapeva il fatto suo e si poteva guadagnare il pane con il suo numero, e che anche la bambina non era solo una bocca da sfamare ma era una bravissima equilibrista, e alla fine il direttore che è grande e grosso e urla più forte di tutti però io lo so che si commuove per un niente, alla fine il direttore gli ha detto che potevano restare, ma che c’era da lavorare sodo, e anzi che cominciassero subito a dare una mano a smontare. E gridava per non fare capire che era contento del loro arrivo. Così capitò che quel giorno Bagonghi vide la bambina per la prima volta, ma non gli fece molto effetto, perché ne aveva viste di tutti i colori, e essere nano e storpio ti fa diventare vecchio molto in fretta, molto più di quanto non faccia il calendario. E così quando li hanno presentati, il nano chiacchierone e la bambina taciturna, lui ha fatto solo un grugnito, e lei è rimasta con tanto d’occhi perché un nano non l’aveva mai visto.

Eppure in capo a una settimana, erano diventati amici. Quando la bambina doveva fare gli esercizi, Bagonghi faceva in modo di essere sempre da quelle parti, così la poteva guardare. Lei invece non appena aveva un momento libero scappava nella  tenda del nano, dove lui la faceva sedere per terra, apriva un libro e cominciava a leggere per lei storie di cavalieri, di maghi e principesse e draghi e anche giganti e nani. Leggeva bene Bagonghi, perché da tanto tempo ormai le parole erano le sue uniche amiche, così lui le coccolava parlando, e quando leggeva non aveva la vocetta acuta che faceva sempre ridere il pubblico, tirava fuori invece da chissà dove una bella voce che sembrava velluto e poi all’improvviso diventava aspra perché doveva leggere la parte del drago, oppure sottile quasi trasparente perché stava dicendo le battute della principessa: era impossibile annoiarsi perché quando lui leggeva sembrava proprio di essere lì in mezzo a castelli fatati e foreste pericolose. Quando Bagonghi leggeva, erano le uniche parole che diceva per farsi capire, erano le uniche cose che diceva senza voler intendere qualcos’altro. Anche con la bambina, che era sua amica, non rinunciava mai a parlare per indovinelli, e quando voleva fare un complimento, lo sapeva soltanto lui. La bambina, silenziosa per abitudine con gli altri, con lui non apriva bocca per niente, ma lo ascoltava attenta, e faceva di sì con la testa quando era d’accordo, e rideva spesso. Soprattutto, quella bambina aveva conquistato il cuore del nano per come rideva. Tutti ridevano quando parlava Bagonghi, ma ridevano come chi non capisce, a vanvera. Invece la bambina per qualche strano motivo rideva sempre a proposito. Se non fosse stato impossibile, Bagonghi avrebbe pensato che la bambina capiva davvero la sua lingua, perché non rideva come tutti gli altri, che ridevano senza capire, ma rideva come chi ha visto cosa c’è dietro. E questo rendeva la compagnia della bambina veramente unica.

Potevano diventare così, a modo loro, veramente amici, invece una sera più o meno un mese dopo che la bambina e il suo papà erano arrivati al circo, successe una di quelle cose che dopo per tanto tempo non si capisce cosa è successo veramente, e uno si prende la testa fra le mani e dice “perché, perché è andata proprio così”, ma ormai è tardi e non ci si può fare proprio niente. Era ora di cena, quando tutti gli artisti si trovavano insieme per scaldarsi un po’ nella notte di autunno, Bagonghi era seduto proprio vicino alla sua amica. A un certo punto Fulvio il domatore, che era geloso del nano e lo stuzzicava ogni volta che poteva, se ne viene fuori dicendo che perfino la bambina era più alta di lui, allora Bagonghi, sorridendo, disse “Che rara e pertinente affermazione. Indiscutibile, direi: invidio occhi tanto acuti” Tutti intorno ridevano, e anche il nano era di buon umore. E tutt’a un tratto, la bambina dice rivolta al suo amico: “Bella risposta amico, veramente ottima.”

Bagonghi rimase senza parole. Per la prima volta nelle sua vita non sapeva assolutamente cosa dire. Guardava la piccola equilibrista da sotto in su, perché Fulvio aveva ragione, era più basso lui, e nei suoi occhi si vedevano passare tante domande mentre la bocca era rimasta aperta ma senza nessuna delle sue solite stramberie. Il nano era sconvolto. Strinse fra le sue mani piccole la piccola mano della bambina, poi senza dire nulla si alzò e si precipitò alla sua tenda. Tutta la gente del circo rideva e pensava che fosse una delle solite stranezze del nano.

Invece era una cosa proprio nuova, e non era per niente preparato ad un caso del genere. Sulle sue gambette storte quella notte il nano andava avanti e indietro nella sua tenda e borbottava. Non gli era mai capitato che qualcuno rispondesse nella sua lingua, per una vita intera aveva lanciato i suoi messaggi al mondo che lo disprezzava, e quella sera per la prima volta aveva ricevuto una risposta. Possibile che fosse soltanto una combinazione? Non poteva darsi pace Bagonghi, avanti e indietro nella tenda sulle sue ridicole gambette troppo corte, e non sapeva proprio cosa fare né cosa pensare, ora che una frase di una bambina gli aveva all’improvviso ricordato quanto era solo, e quanto pesava sulle sue povere spalle curve tutto questo parlare da soli senza speranza. Alla fine di quella lunga notte il nano smise di tormentarsi e prese una decisione.

Di buon mattino, anzi praticamente all’alba, andò incontro alla bambina. “Capiti a proposito. Io sto cercando il latte appena munto interrogando abitanti locali. Ieri non girava un’anima, vogliamo eventualmente riprovarci oggi?” Non era una domanda difficile, o pericolosa, o terribilmente strana, aveva chiesto solo “Capisci la mia lingua, vero?”, questo aveva chiesto Bagonghi, ma lo aveva chiesto con una tale luce accesa negli occhi, che la bambina mai aveva visto, e con un tono così diverso da quello solito con cui parlava sempre, e c’era una forza difficile da nascondere in quelle parole, perché si sentiva che dietro quella domanda ce ne erano molte altre che non erano state poste, che la bambina si spaventò. E non sempre noi sappiamo quello che stiamo facendo, e quasi mai sappiamo il perché, e a volte le cose succedono senza che nessuno desideri davvero che vadano proprio così, a volte vediamo che una cosa cade ma non possiamo proprio fare niente per trattenerla, solo restare lì a seguire con lo sguardo la caduta, e poi in fine era pur sempre solo una bambina, e cosa volete che capisca una bambina, non aveva una parola per spiegarsi quello che succedeva, all’improvviso si trovò così, quel nano davanti le sembrava d’un tratto così brutto, o forse vide per la prima volta che c’era un burrone tra lei e il suo amico, e che lui stava tendendo un braccio verso di lei, ma era così corto il braccio e così profondo l’abisso che la bambina si sentì più piccola di quanto non fosse, e in un momento che non ha mai dimenticato gli rispose “Non ora.”

Sorrise un poco Bagonghi, come uno che vede finalmente avverarsi una sua previsione tremenda, con un’espressione che vuol dire “ecco, lo sapevo!” ma anche “arrivano i guai”, sorrise anche questa volta come faceva sempre, un sorriso triste e amaro, così sorrise Bagonghi e mai più nessuno del circo lo ha rivisto da quel giorno, e nessuno sa cosa ne sia stato di lui, perché scomparì senza lasciare traccia come se non fosse mai esistito. Ma deve essersi portato dietro il segreto del circo, che non è mai più stato come prima. E la bambina ancora oggi continua ad agitare l’ombrellino colorato danzando sul filo teso sempre più in alto sperando che da qualche parte lui la veda e decida di tornare.

Alessandro Mossa