Dragan l’Infallibile
Sono Dragan e non ho mai sbagliato. Se io sbagliassi qualcuno potrebbe rimetterci la vita, ma non è mai successo, e mai succederà. Quando ho indosso il mio mantello rosso sono infallibile. Le mie donne sono giovani e bellissime e si fidano ciecamente di me. Mi guardano dritto negli occhi, i miei occhi neri misteriosi e mesmerici, mi guardano con il loro sguardo limpido e sincero e nel loro sguardo io leggo fiducia e ammirazione e neanche una traccia di paura. La mia fronte ampia ispira sicurezza, le mie mani hanno lunghe dita affusolate e unghie curate e nemmeno un callo o una cicatrice: le mie sono mani di un innocente. Quando scendo in pista tutti mi fissano attenti: gli uomini mi invidiano, le donne sospirano perché tutte sognano un uomo come me, alto e forte e bello e soprattutto infallibile. Nessuno osa parlare, mentre soppeso il coltello, mentre lo porto dietro le spalle, nessuno ha il coraggio di guardare quando scaglio la mano in avanti e le mie dita si schiudono ad inviare il mio messaggio di amore e di morte alla ragazza che sorride dieci metri avanti a me. Dieci lame di acciaio temprato lunghe venti centimetri compongono la mia poesia intorno alla fragilità di una bambina sola, inerme, esposta che tuttavia non ha paura perché la sua vita è nelle mie mani. Le mie mani infallibili.
Sono Dragan il lanciatore di coltelli. Avevo sei anni quando mio padre Gordian l’Infallibile mi fece lanciare il primo coltello. Da quarant’anni centro sempre il mio obiettivo. Quanti coltelli avrò lanciato in tutto questo tempo? Quante fanciulle fiduciose mi hanno offerto la loro gioventù e la loro vita, quante agghiaccianti carezze ho allungato sulla loro pelle intatta dieci metri più in là, sotto lo sguardo terrorizzato di centinaia di spettatori ammutoliti? Mai un graffio, su quelle carni delicate e pallide, mai un segno della feroce violenza delle mie parole d’amore. Mai un’esitazione, mai un errore. Altri possono sbagliare e correggersi, io sono già perfetto. E quando il numero volge al termine, quando la benda candida chiude i miei occhi per l’ultimo lancio, quando le dita mie agili e precise afferrano la lama definitiva, allora non esistono più cento spettatori, ma un unico organismo, il pubblico, che trattiene il respiro e guarda fugacemente la giovane che sorride alla morte, poi fissa lo sguardo sulla benda che mi priva della vista, infine si lascia abbagliare dai riflessi della mia lama d’acciaio. E aspetta in silenzio pregando in silenzio che il miracolo si ripeta l’ennesima volta, che io sia ancora e sempre l’Infallibile. Ma quel silenzio di preghiere non mi scuote, io con gli occhi chiusi vedo tuttavia perfettamente il sorriso fresco e tranquillo della vergine che si sacrifica per espiare i sogni di tutti gli altri, posso perfino sentire il suo cuore palpitare sotto il seno immaturo eppure perfetto, e non c’è traccia di paura in lei perché non ce n’è in me.
Sono Dragan l’uomo più solo del mondo. Da quarant’anni sono condannato a non sbagliare. Gli altri sbagliano e pagano le conseguenze dei propri errori, a me questa consolazione non è data. Se potessi sbagliare io, altri ne soffrirebbero. Per questo non sbaglio mai. E quando con gli occhi chiusi valuto il peso del coltello tra le mie dita, mentre mi accingo a ripetere sempre uguale a se stesso quel gesto che avrò forse eseguito milioni di volte, nella vastità oppressiva del silenzio muto dello stesso pubblico che fino a dieci minuti fa rideva ai lazzi dei pagliacci, io lo so bene che tutti sperano il mio errore. Lo desiderano piano, tanto piano da non sentirlo neanche loro, lo desiderano come si desiderano quelle cose che non abbiamo il coraggio di pensare, che ci faremmo schifo da noi se solo lo sapessimo. Ma non sanno, e pregano che io non sbagli, ma con tanta intensità che Dio capisce cosa vogliono davvero. Nel momento preciso in cui lascio andare la lama, so già di averli delusi e di avere rinnovato la mia condanna a non sbagliare mai. E dopo, ma solo dopo avere tirato, mi figuro il sollievo immenso che mi gonfierebbe il cuore se un giorno un errore di una frazione di secondo, di un millimetro o meno lacerasse il corpo giovane e prezioso della vittima e mi liberasse per sempre dall’intollerabile peso della perfezione. Ma è solo un istante, la tensione accumulata nel pubblico esplode l’applauso, ed io mi sento infinitamente stanco, e solo, e vecchio. Cade la benda, ed io chino la testa a ricevere di nuovo il mondo sulle spalle.
Sono Dragan l’Infallibile. Stasera quando ho visto la nuova ragazza il mio cuore ha mancato un colpo. Che sia, proprio lei, destinata a salvarmi?
16 aprile 2000
Alessandro Mossa